INDICE ED INIZIO ARGOMENTO "UNA PROPOSTA POLITICO-ECONOMICA"

 

 

16.2  COME FAR CRESCERE LE AZIENDE.

 

Affinché le aziende italiane diventino più competitive, è necessario che migliorino la loro efficienza e che producano beni con una maggiore tecnologia e con un miglior rapporto tra qualità e prezzo rispetto a quello degli altri paesi.

Per migliorare la tecnologia bisogna investire molto denaro nella R&S, pertanto è necessario che le imprese guadagnino di più per poter aumentare la quota di utili destinata a tali investimenti. E' anche necessario che incrementino la produzione per ripartire i costi degli investimenti su una maggiore quantità di beni e, quindi, per non far aumentare troppo i costi unitari.

Invece le aziende private italiane stanno diminuendo gli investimenti in R&S. Per esempio, nel settore farmaceutico, dove molte imprese italiane sono state acquisite da parte di multinazionali straniere, sono stati chiusi diversi laboratori di ricerca del nostro paese per rinforzare quelli dei paesi d'origine delle multinazionali ed è stato così disperso una parte del patrimonio scientifico e tecnologico che era stato accumulato con tanta fatica nel corso di diversi anni.

 

Per incrementare gli utili e la produzione sarebbe necessario che le aziende aumentassero le loro dimensioni ma, a mio giudizio, esse hanno qualche difficoltà a crescere oltre ad una determinata grandezza. Normalmente quando hanno una media dimensione hanno anche una discreta efficienza, ma quando assumono dimensioni maggiori l'efficienza diminuisce ed anche gli utili diventano meno consistenti. In qualche caso si verificano perfino delle perdite che, gradualmente, provocano una riduzione della capitalizzazione aziendale.

In Giappone, Germania, Francia ed U.S.A., le aziende crescono di più delle nostre e riescono ad effettuare investimenti più elevati e ad ottenere economie di scala e più denaro a disposizione per la R&S. Ed infatti, in genere, i loro prodotti raggiungono una tecnologia più elevata rispetto a quelli delle aziende italiane.

 

Per esempio, 30 anni fa le aziende italiane producevano le migliori scarpe da footing al mondo, come le Diadora, le Lotto, le Valsport. Ora invece, le migliori sono le Asics (giapponesi), Nike (americane), le Reebok (americane), ecc., che vengono vendute a prezzi più elevati di quelle italiane e che, nonostante questo, sono quelle più usate anche in Italia. Il motivo di questo cambiamento è che le aziende produttrici di scarpe italiane sono di media grandezza ed a conduzione familiare, mentre quelle Giapponesi ed Americane hanno maggiori dimensioni e, quindi, sono riuscite ad investire di più nella ricerca e a produrre scarpe più sofisticate.

Quindi ora le aziende Italiane riescono a vendere le scarpe da footing soprattutto per il prezzo più basso e non per la maggior qualità e per ottenere tale livello di prezzo sono costrette a delocalizzare la loro produzione nei paesi dove la mano d'opera costa meno. Ma anche le aziende americane e giapponesi delocalizzano la loro produzione e, quindi, riescono ad offrire prodotti di buona tecnologia a prezzi ridotti.

 

Ci sono però dei settori produttivi dove le piccole e medie aziende italiane riescono ad essere competitive e sono quelli dove è necessario soprattutto il buon gusto come, per esempio, nella moda (scarpe, vestiti, maglieria), nell'arredamento (mobili, piastrelle), nel materiale per cucina (piatti e bicchieri), ma esse sono sempre di più preda di acquisizioni da parte delle aziende multinazionali straniere che in futuro potrebbero anche delocalizzarle con i conseguenti problemi per l'occupazione.  Comunque anch'esse, per mantenersi competitive, sono costrette a delocalizzare la loro produzione all'estero.

 

Continuando così ci potremmo venire a trovare ad avere soprattutto medie aziende operanti in settori in cui noi italiani siamo maestri (dove serve il buon gusto) ed insediamenti produttivi facenti parte di aziende multinazionali. Ma, a mio giudizio, questa situazione non sarebbe sufficiente per ottenere una solida economia perché non ci consentirebbe di aumentare l'occupazione e di avere entrate sufficienti per ridurre l'attuale notevole debito pubblico.

Per invertire questa tendenza le nostre aziende dovrebbero incrementare le loro dimensioni, così potrebbero aumentare la produzione e gli investimenti nella R&S e competere con le grandi aziende multinazionali dei paesi più industrializzati.

 

Molti dicono che le piccole e medie aziende vanno meglio di quelle di più grandi dimensioni e, per dimostrarlo, confrontano l'economia del nostro Nord-Est, popolato da aziende a conduzione padronale che nel recente passato hanno prodotto buoni utili, con quella del resto del paese dove, negli ultimi anni, le grandi aziende hanno prodotto perdite ed hanno ridotto più volte il personale. Invece, a mio parere, questo fatto conferma solo la scarsa efficienza delle grandi aziende italiane in quanto, grazie alle possibili economie di scala, esse dovrebbero ottenere maggiori utili.

 

Bisognerebbe pertanto cercare di capire perché le nostre grandi aziende non riescono a produrre maggiori utili e, quindi, a crescere ulteriormente.

Ed è quello che mi propongo di effettuare qui di seguito.

 

In pratica bisognerebbe provare a dare una spiegazione al fatto che le aziende di media grandezza a conduzione diretta dei proprietari (Benetton, De Longhi, Carraro, Danieli, ecc.), hanno prodotto buoni utili dimostrando quindi una buona efficienza, mentre quelle più grandi, ad azionariato diffuso, hanno avuto utili meno buoni, manifestando quindi un'efficienza inferiore.

 

Per cominciare vorrei esporre un mio parere sulla psicologia del lavoratore italiano, che ritengo importante tener presente per creare le condizioni affinché egli possa lavorare con la massima efficienza.

Il lavoratore italiano vuole lavorare e desidera farlo bene, ma vuole anche essere valutato e pagato per quanto produce; non accetta volentieri di essere pagato quanto un altro che lavora meno bene (vuole giustizia) o, addirittura, di dover dipendere da una persona poco volenterosa, poco competente e poco efficiente.

 

Quando c'è un "padrone" che vigila e controlla l'andamento dell'azienda, l'organizzazione evolve per il verso giusto. Nelle posizioni di maggior responsabilità si inserisce chi dimostra maggior disponibilità aziendale e cioè chi rispetta sempre ed a qualunque costo i propri impegni, chi è disponibile a fermarsi anche oltre il normale orario lavorativo, chi pensa a come organizzare meglio la sua attività, chi, in altre parole, sente il settore aziendale, del quale gli è stata affidata la responsabilità, come fosse proprio.

Egli cerca anche di incontrarsi con i responsabili degli altri settori e di pensare assieme a loro a come organizzare meglio il lavoro. Così tra i vari responsabili si viene a creare un rapporto fondato sulla stima e sulla fiducia reciproca, che contribuisce notevolmente al miglioramento dell'efficienza aziendale.

Chi invece considera il lavoro solo un mezzo per procurarsi da vivere e non lo ritiene degno di maggior interesse e chi, nonostante la sua buona volontà, più di tanto non riesce a fare, riconosce il maggior impegno, competenza e capacità dei superiori che il "padrone" ha scelto, accetta la loro autorità e, quindi, lavora con tranquillità ed impegno.

 

Nei settori aziendali dove viene svolta attività di R&S, il personale offre tutto se stesso per migliorare la qualità dei prodotti aziendali (per quanto è possibile con le limitate risorse che un'azienda di non elevate dimensioni può mettere a sua disposizione), sia nell'interesse dell'azienda che per soddisfazione personale. Gli specialisti in informatica, lavorando in stretta collaborazione con i responsabili dei vari settori aziendali, cercano di informatizzare il meglio possibile l'azienda, consentendo così un miglioramento dell'efficienza ed una riduzione dei costi.

Il "padrone" sa che la sua azienda è cresciuta grazie a nuove idee ed a buone soluzioni tecnologiche e quindi incentiva chi è in grado di farla progredire ulteriormente. In pratica il "padrone" applica un sistema premiante basato sulla competenza e sulla capacità e, soprattutto, sui risultati.

E allora si viene a formare una buona struttura portante che opera soprattutto nell'interesse dell'azienda e che cerca continuamente di migliorare la sua efficienza. Piano piano si viene a formare anche uno spirito di corpo aziendale, uno spirito che dà sicurezza, fiducia e desiderio di lavorare bene a tutti i dipendenti, uno spirito che li rende orgogliosi di far parte della "propria" azienda e disponibili anche a sopportare dei sacrifici per essa.

 

E allora, se il "padrone" sceglie di farlo, l'azienda potrà crescere perché ha a disposizione una buona struttura portante, alla quale potrà fare riferimento il nuovo personale che si dovrà assumere per far fronte ai nuovi impegni.

 

 

Per cercare di dare una dimostrazione del perché le grandi aziende italiane hanno difficoltà a crescere ulteriormente ed a produrre buoni utili, esporrò ora un'ipotesi teorica.

Effettuerò inoltre delle proposte per migliorare la loro efficienza, che si potrebbero applicare se detta ipotesi fosse vera.

 

Se un azienda assume dimensioni molto ampie, la proprietà si divide in tante azioni, che vengono in possesso di piccoli, medi e grandi azionisti, i quali nominano un Cda. Quest'ultimo sceglie un presidente ed un amministratore delegato e affida loro la responsabilità della gestione della società.

E' possibile allora che possa venire a mancare il rapporto diretto tra la proprietà ed il personale dell'azienda, pertanto potrebbe diventare carente anche un valido ed interessato controllo sulla gestione aziendale, e potrebbe allora essere applicato un sistema premiante poco basato sulla competenza, capacità e risultati.

In questo modo la scelta delle persone (manager) a cui affidare la responsabilità dei vari settori aziendali, potrebbe non essere sempre effettuata in base alla loro capacità e volontà di fare l'interesse dell'azienda, ma in base alla disponibilità di fare gli interessi di chi appoggia la loro scelta. A loro volta, detti manager potrebbero scegliere come propri collaboratori coloro che fossero più disponibili a fare i loro interessi, i quali potrebbero comportarsi in modo analogo nella scelta dei loro collaboratori; e così via fino ai livelli più bassi. In pratica si potrebbero venire a formare delle cordate costituite da insiemi di manager (o aspiranti manager) con l'intenzione comune di incrementare il loro potere aziendale, allo scopo di fare i loro interessi.

Definirei questa tipologia di management come "politico" (metto questo termine tra virgolette perché non lo uso nel suo significato proprio, ma in quello che ho appena esposto, e comunque ribadisco che esistono varie gradazioni di "politico" e che si tratta di un discorso generale, in un'ipotesi).

In questa situazione i lavoratori che volessero far carriera potrebbero cercare di agganciarsi ad una delle cordate e di aumentare il loro potere. A tale scopo potrebbero cercare di "rubare" le attività più importanti ai colleghi anche senza avere la capacità di svolgerle bene, di favorire gli "amici" e di creare problemi ai "nemici". In pratica tra detti lavoratori potrebbe iniziare una vera e propria guerra fatta di alleanze, attacchi, difese e contrattacchi, allo scopo di ottenere il massimo risultato a livello personale.

 

Ma per aver successo in questo modo di operare, non andrebbe più bene il lavoratore cosciente che sentisse il settore del quale fosse responsabile come fosse proprio, anche perché egli non riuscirebbe a concepire comportamenti dannosi per la propria azienda; andrebbe meglio chi fosse più abile ad ottenere maggior potere e non si ponesse problemi di coscienza aziendale.

 

Per quanto riguarda il miglioramento dell'informatizzazione aziendale e della tecnologia produttiva, il manager "politico" potrebbe non cercare le migliori soluzioni per l'azienda, ma quelle che gli ponessero meno problemi e che gli consentissero di ottenere maggiori appoggi. Per tale motivo egli potrebbe preferire di emarginare e demotivare quei lavoratori che volessero cercare ed applicare le migliori soluzioni e, quindi, potrebbe preferire collaboratori più fedeli, anche se meno bravi. 

Si potrebbe creare, quindi, un ambiente dove il lavorare bene potrebbe non essere premiato, anzi, potrebbe essere perfino destimolato; allora la produttività e l'efficienza potrebbero calare sempre di più.

 

In conclusione, a mio parere, la causa principale dell'inefficienza nelle grandi aziende italiane potrebbe essere dovuta alla formazione di un management troppo "politico" che, più che pensare a migliorare l'efficienza aziendale, potrebbe pensare ad incrementare il proprio potere.

 

 

Ma quale potrebbe essere stata la causa che potrebbe aver consentito il formarsi di una tale tipologia di management?

 

Un'ipotesi potrebbe essere quella che i Cda potrebbero non aver effettuato adeguati controlli sulla gestione delle società.

Per giustificare detta ipotesi, espongo qui di seguito alcune considerazioni di Roger Abravanel, studioso di organizzazione aziendale, sulla riforma dei Cda.

 

"Il serio problema di performance economica delle imprese italiane è ingenerato largamente dalla eccessiva protezione delle imprese da parte dello Stato (sia pubbliche che private)."

"In sintesi, quindi, riformare organizzativamente (e non solo giuridicamente) i Cda italiani è una priorità per permettere loro di svolgere la funzione per la quale essi sono stati creati e cioè tutelare attraverso un controllo efficace del management, gli interessi degli azionisti, sia quelli di riferimento che quelli minori."

"Come detto, il problema è urgente, come testimoniato dai lamenti degli azionisti minoritari, dall'iperattivismo dei magistrati sui problemi dei falsi in bilancio e dalla frustrazione della più parte dei consiglieri di amministrazione che conosco e del management nei confronti del Cda."

"I consiglieri sono troppo impegnati per avere incontri frequenti e specifici."

"la maggioranza dei Cda italiani, al pari di molti in altri Paesi, soffre di poca reale indipendenza dal management".

"Mentre qualche Cda italiano inizia timidamente a dotarsi di comitati audit (come cambierà il ruolo dei sindaci?) e retribuzione, quasi nessuno sta sperimentando un "comitato strategico" che permetta al Cda di dibattere sostanzialmente le strategie dell'azienda e di controllarne la performance economica-finanziaria (value-based management) e operativa (Tableaux de Bord sulla gestione operativa)".

 

In pratica Abravanel dice che i Cda sono stati creati per tutelare gli interessi degli azionisti attraverso un controllo del management e li invita ad interessarsi di più della strategia dell'azienda ed a controllare i suoi risultati economici e la sua gestione operativa, tramite un apposito comitato.

 

 

Ma quale potrebbe essere il motivo per il quale il Cda non svolgerebbe la sua funzione di controllo efficace del management?

 

A mio parere, potrebbe essere accaduto che i partiti politici, per aumentare il proprio potere, abbiano inserito delle proprie persone nelle posizioni più importanti della PA (ministeri, finanza, USL, regioni, province, comuni, ecc.) e delle imprese pubbliche (Banche, RAI, Enel, ecc.), formando così un management pubblico politicizzato col principale compito di fare gli interessi del loro partito.

A tale scopo detto management pubblico potrebbe aver cercato dei collegamenti con quello delle imprese private, offrendo dei "favori" (concessione della cassa di integrazione con maggiore facilità, prestiti dalle banche pubbliche, minori controlli fiscali e previdenziali, ecc.) per le sue aziende in cambio di altri "favori" (tangenti, consulenze, assunzioni di personale raccomandato, costruzione di fabbriche in certe località piuttosto che in altre, ecc.).

Naturalmente è possibile che in detti eventuali accordi, il management privato possa non aver svolto un ruolo puramente passivo. In ogni caso, tramite detti "favori", esso potrebbe essere riuscito ad ottenere buoni risultati per le aziende da lui gestite e allora, poiché l'obiettivo del Cda è quello di far ottenere il massimo risultato alla propria azienda, il Cda potrebbe aver ritenuto più conveniente lasciar fare al management, senza effettuare controlli sul suo operato, non proprio trasparente.

 

 

Ma perché ora il management privato non riesce più ad ottenere buoni risultati? 

 

Potrebbe essere accaduto che la possibilità di ottenere buoni risultati tramite detti "favori" abbia reso sempre più "politico" il management riducendo sempre di più il suo interesse verso l'efficienza aziendale che, in questo modo, potrebbe essere calata notevolmente.

Nello stesso tempo la situazione economica dello Stato è peggiorata e potrebbero essere diminuiti i suoi "favori" per le aziende, ed il mercato si è sempre più globalizzato, ponendo le nostre imprese di fronte ad una concorrenza sempre più agguerrita ed efficiente.

Il risultato di detta evoluzione potrebbe essere stato che le nostre grandi aziende potrebbero non essere più in grado di ottenere buoni risultati economici.

 

 

Cosa si potrebbe fare affinché esse potessero riuscire ad ottenere buoni risultati?

 

Per far ottenere buoni risultati alle nostre grandi aziende potrebbe essere necessario che il loro management diventi più efficiente e più orientato verso l'interesse dell'azienda e, per ottenere detto risultato, potrebbe servire che i Cda si interessassero di più alla gestione delle loro aziende e che controllassero di più l'operato del management (come consiglia Abravanel).

Nello stesso tempo bisognerebbe fare in modo che anche lo Stato diventasse più efficiente, che non concedesse più "favori" a nessuno, che adeguasse l'istruzione alle necessità produttive, che migliorasse le infrastrutture, che riducesse i costi della PA, che incentivasse lo sviluppo dell'economia, ecc..

 

Per controllare il management privato potrebbe essere necessario che il Cda istituisse un comitato di sorveglianza che lo rappresentasse (costituirebbe l'occhio del padrone) e che potesse andare nelle aziende per parlare con chiunque volesse, per osservare direttamente l'andamento della gestione della società e, soprattutto, per controllare e valutare l'operato del management. 

In questo modo, potrebbe essere possibile arrivare ad avere un sistema premiante basato di più sulla competenza e sulla capacità piuttosto che sul potere e, di conseguenza, ad una situazione in cui la responsabilità dei vari settori aziendali sarebbe affidata a manager più orientati verso l'interesse della società. Allora i lavoratori "potrebbero" fare di più e, quindi, la loro produttività ed efficienza potrebbe aumentare.

Il tutto potrebbe far migliorare l'efficienza delle grandi aziende e creare le premesse affinché esse possano ottenere buoni risultati economici.

 

Ma se l'istituzione del comitato di sorveglianza dipende principalmente dalla volontà del Cda, il necessario miglioramento dell'efficienza dello Stato dipende dai cittadini che, per ottenerlo, la prossima volta che andranno a votare, dovranno eleggere persone capaci e preparate che pensino di più agli interessi generali dello Stato.

Quindi, anche per consentire il miglioramento dell'efficienza delle nostre grandi aziende, potrebbe essere importante che si sviluppi  un progetto in grado di migliorare la situazione economica, di convincere gli italiani ad accettarlo.

Per le posizioni più importanti della PA e delle Banche, si dovrebbero appoggiare coloro che dimostrassero maggiore capacità ed onestà e che, una volta assunta la carica, cercherebbero di operare nell'interesse degli enti a loro affidati. In questo modo i collegamenti tra il management pubblico e quello privato diventerebbero più corretti e l'Autorità Antitrust potrebbe operare efficacemente, in quanto non sarebbe più soggetta a pressioni clientelari e potrebbe così intervenire adeguatamente nei casi in cui si verificassero degli episodi in contrasto con la corretta concorrenza.

 

In conclusione, per competere validamente con i paesi più industrializzati, sarebbe necessario che le nostre grandi aziende adottassero un sistema premiante basato sulla competenza e capacità, consentendo così la formazione di un management orientato verso il miglioramento dell'efficienza aziendale.

Così anche le grandi aziende italiane potrebbero ottenere una buona efficienza e potrebbero incrementare gli utili e gli investimenti in R&S. In questo modo, gradualmente, i loro prodotti potrebbero arrivare a competere con quelli tedeschi e giapponesi in termini di tecnologia e qualità.