INDICE ED INIZIO ARGOMENTO "VITTIME DI REATI"
ESEMPIO TERESA CORDOPATRI
Quanto esposto qui di seguito è stato soprattutto ricavato da alcuni articoli di Lino Jannuzzi pubblicati sulla rivista Panorama, verso la fine del 2004.
1. I fatti in breve
Teresa Cordopatri del il fratello Antonio, posseggono un’imponente distesa di ulivi in provincia di Reggio Calabria e da trent’anni dei boss cercano di portargliela via.
Ma Antonio opponeva un netto rifiuto a "vendere".
Una prima volta gli sparano e lo mancano.
Al secondo tentativo, l'ammazzano.
Teresa è presente all’agguato, il killer dopo aver steso il fratello punta l’arma contro di lei, la pistola s’inceppa, il killer scappa.
Era il 1991.
La Cordopatri denuncia il boss, riconosce il killer e lo fa arrestare.
2. Il procedimento
In primo grado la Corte di Assise di Reggio Calabria condanna all'ergastolo il killer, ergastolo che viene ridotto a 25 anni in appello.
Invece assolve dall'accusa di omicidio il boss, portato anche lui sul banco degli imputati, come mandante dell’assassinio.
E c'è persino un pentito, che ha raccontato che il boss gli ha confidato, mentre erano insieme in carcere, di aver dovuto ordinare l'assassinio di mio fratello per dare un esempio.
Non l’hanno nemmeno sentito al processo.
Questo vive protetto e nascosto in una località segreta. Ha mandato un telefax al tribunale dichiarandosi disposto a venire a deporre, purché gli garantissero la scorta e i soldi per il viaggio. Non glieli hanno garantiti.
Allora la Cordopatri chiede l’appello per il mandante al Procuratore di secondo grado ma, per un errore (non l’avrebbero rintracciato anche se era in carcere), non viene effettuata la notifica. Per cui si deve ripetere l’atto.
In seguito, però, il Procuratore decide di rinunciare all'appello "ritenendo esaustive le ragioni a suo tempo dedotte dal gip, dal pm del primo grado e dalla Corte di Assise”.
Inoltre, per il tentativo di omicidio della Cordopatri, dopo 13 anni dai fatti, doveva ancora cominciare il processo d’appello.
3. Situazione della Cordopatri e sue critiche alla magistratura
Poiché, naturalmente, non era soddisfatta della situazione, dopo che le hanno assicurato che sarebbe stato tenuto riservato, invia un esposto al C. S. M., denunciando i ritardi e l’ignavia del sistema giudiziario in Calabria, ma senza citare né nomi né fatti specifici.
Invece l’esposto diventa pubblico tanto che quattro magistrati si ritengono calunniati e diffamati, fino ad intraprendere azione legale.
E viene condannata a pagare risarcimenti per circa 150.000 euro.
Per pagarli deve ipotecare la casa, tanto che afferma: “Contro la ‘ndrangheta ho resistito trent’anni, e ci ho rimesso le terre e il fratello. Alla giustizia non so se e quanto potrò resistere.”.
4. Rapporti con la stampa
Il processo per diffamazione alla Cordopatri, ha coinvolto anche una giornalista che aveva raccolto una sua intervista. Che è stata anche lei condannata al risarcimento danni (sembra in solido con la Cordopatri e una sua cugina, ma dagli articoli su Panorama non si capisce bene).
Il processo è arrivato in Cassazione, che non solo ha confermato la condanna ma ha stabilito per la giornalista che “affinché possa parlarsi di legittima espressione del diritto di cronaca e sussista l’esimente della responsabilità civile per danni, non basta che il giornalista si limiti a riferire le parole effettivamente dette dall’intervistato senza modifica delle parole stesse e senza commenti, perché la verità non viene rispettata quando, pur essendo vere le affermazioni riferite, altre parole in grado di mutare pesantemente il significato delle prime siano dolosamente o anche soltanto colposamente taciute, e quando il ricorso ad accostamenti suggestionanti di singole affermazioni dell’intervistato capziosamente scelte e a mutamenti dell’ordine di esposizione delle medesime, si pervenga a una presentazione dell’intervista oggettivamente idonea a creare nella mente del lettore una rappresentazione della realtà dell’intervista medesima falsa in tutto o in parte’.”
“Il cronista sappia dunque che da oggi non si salva dalla condanna al risarcimento nemmeno quando tutta l’intervista che ha raccolto corrisponde a verità e rispetta il limite della continenza e il criterio dell’interesse pubblico a conoscere un dato di fatto o un punto di vista. Il cronista è a rischio di condanna anche soltanto se trapela che egli, nel riportare le parole dell’intervistato, ne condivide l’opinione; se trapela o se il lettore può avere l’impressione che trapeli. In ogni caso il cronista deve anche dimostrare che non condivide le affermazioni dell’intervistato e prendere le distanze da lui.” (pezzo tratto integralmente dagli articoli di Lino Jannuzzi).