La Relatività Ristretta è Incompatibile col Redshift Cosmologico.
Abstract
Dalle osservazioni risulta che la luminosità apparente delle supernove di tipo Ia con elevato redshift, è inferiore di circa il 25% rispetto a quella attesa. Il che, secondo il presente articolo, dimostra che il redshift cosmologico non può indicare l’espansione dello spazio.
Per cui dato che la Relatività Ristretta risulta compatibile con il redshift cosmologico solo se esso indica l’espansione dello spazio, la dimostrazione che non lo indica, dimostra che la Relatività Ristretta non è compatibile col redshift cosmologico.
Dimostrazione
Per agevolare la comprensione del presente articolo utilizzo i dati relativi al viaggio dei fotoni di un ipotetico oggetto celeste con un elevato redshift, che ho ricavato da un articolo di Vincenzo Zappalà (1) e cioè:
Distanza iniziale (alla partenza dei fotoni) = 5,46 miliardi di anni luce;
Distanza attuale (all’arrivo dei fotoni) = 8,68 miliardi di anni luce;
z (redshift cosmologico) = 0,59.
La formula per calcolare la luminosità apparente degli oggetti celesti con alto redshift, che ho ricavato da un articolo che ho trovato in rete (2), è la seguente:
Dove:
“” sta per luminosità
apparente;
“” sta per luminosità assoluta;
“” sta per distanza attuale;
“” sta per redshift cosmologico.
Da una tesi di laurea pubblicata in rete (3), risulta che per questo tipo di oggetto celeste (in questo caso si tratta di una supernova di tipo Ia) la luminosità apparente osservata è di circa il 25% minore rispetto a quella attesa, e cioè a quella risultante dall’applicazione della formula sopra esposta.
Il che significa che la distanza attuale dell’oggetto celeste, è maggiore di quella compatibile con la luminosità apparente attesa, che in pratica dipende dal redshift cosmologico.
Per far comprendere più facilmente di cosa si tratta, espongo qui di seguito la formula ed il relativo calcolo, per trovare la distanza attuale conoscendo quella iniziale ed il redshift cosmologico. Perché è molto più semplice, logica e chiara, rispetto a quella della luminosità apparente.
Che in pratica significa che moltiplicando la distanza dell’oggetto celeste alla partenza dei fotoni, per l’espansione dello spazio avvenuta durante il loro viaggio, si ottiene la distanza all’arrivo dei fotoni.
Il risultato corrisponde al valore indicato nell’articolo di Zappalà (2), relativo alla distanza attuale dell’ipotetico oggetto. Quindi si tratta di un calcolo corretto.
Però dalle osservazioni risulta che la distanza attuale
osservata (naturalmente ciò che viene osservato è la luminosità apparente, che
costituisce un indicatore della distanza) è superiore a quella attesa e cioè a
8,68 miliardi di anni luce.
Ma se la distanza attuale osservata è maggiore di quella attesa, significa che anche l'espansione dello spazio è stata maggiore di quella risultante utilizzando il fattore (1 + z), in quanto la distanza attuale osservata dipende proprio dall’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
Ma se il fattore (1 + z) indicasse veramente l’espansione dello spazio, anche il redshift dei fotoni, e quindi il fattore (1 + z) stesso, sarebbe stato maggiore di quello considerato, perché la maggiore espansione dello spazio si sarebbe riflessa anche sulla lunghezza d'onda dei fotoni e, quindi, sul fattore (1 + z).
E quindi la distanza attuale attesa sarebbe risultata maggiore.
Ma dato che il fattore (1 + z) è quello osservato e non può aumentare, neanche la distanza attuale attesa può aumentare.
Per cui se la distanza attuale osservata risulta maggiore di quella attesa, può solo significare che il fattore (1 + z) non rappresenta l’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
Credo che questa dimostrazione sia sufficiente per far comprendere la mia tesi, ma per completezza espongo anche la dimostrazione relativa alla formula della luminosità apparente, che è più complessa.
Come sopra esposto, se la distanza attuale fosse veramente maggiore di quella attesa, significherebbe che l’espansione dello spazio sarebbe stata maggiore di quella risultante utilizzando il fattore (1 + z).
Ma in questo caso anche il redshift dei fotoni sarebbe stato maggiore e quindi il fattore (1 + z) stesso sarebbe stato maggiore.
Pertanto sarebbero risultati maggiori anche i valori dei fattori al denominatore della formula, corrispondenti sia alla distanza attuale (che, come sopra spiegato, dipende dal fattore (1 + z)) che all’espansione dello spazio (1 + z), per cui sarebbe aumentato il valore totale del denominatore della formula, riducendo il suo risultato.
E quindi la luminosità apparente attesa sarebbe risultata minore.
Ma dato che il fattore (1 + z) è quello osservato e non può aumentare, la luminosità apparente attesa non può diminuire.
Per cui se la luminosità apparente osservata risulta minore di quella attesa, può solo significare che il fattore (1 + z) non rappresenta l’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni. Come ho concluso anche sopra.
Però affinché la Relatività Ristretta (RR) possa essere considerata compatibile col redshift cosmologico, questo deve indicare l’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
Perché?
In base alla RR ogni Sistema di Riferimento (SR) vede ogni altro SR in moto rispetto a se stesso.
Per cui per calcolare la loro velocità di allontanamento in base al redshift, viene applicata la formula dell’effetto Doppler che prevede la sorgente in moto e l’osservatore fermo e cioè:
velocità sorgente
Però questa formula presenta un grosso problema, perché dalle osservazioni risulta che i fotoni provenienti dagli oggetti celesti molto lontani, hanno dei redshift con valori ben superiori a 1. Il che significherebbe che la loro velocità di allontanamento sarebbe ben superiore a quella della luce, e cioè in contrasto con la RR, per la quale la velocità della luce non può essere superata. Per cui questa formula può essere applicata per valori di redshift molto piccoli, quindi non per i redshift cosmologici.
Pertanto la RR non è compatibile con un redshift cosmologico dovuto alla velocità di allontanamento della sorgente dalla Terra.
Ma è compatibile con un redshift cosmologico dovuto direttamente all’espansione dello spazio, come viene considerato nella formula sopra esposta.
Ma così risulta che la luminosità apparente osservata è inferiore a quella attesa!
Il che significa che in base alle osservazioni il redshift cosmologico non può indicare l’espansione dello spazio e, quindi, non può essere considerato compatibile con la RR.
Ma allora, almeno finché non si sarà trovata una giustificazione del redshift cosmologico compatibile con la RR e con le osservazioni, si può affermare che la RR non è compatibile con il redshift cosmologico.
P.S.
Per chi fosse interessato, preciso che per le mie ipotesi (4) basate sulla teoria sul moto relativo allo spazio in espansione (5), il redshift è dovuto alla velocità del SR ricevente rispetto a quello emittente, che non supera mai la velocità della luce qualunque sia il suo valore, in quanto per calcolarla si usa la formula:
Mentre la luminosità apparente osservata viene utilizzata per ricavare l’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
In breve viene usato il redshift per ricavare la distanza attuale dell’oggetto celeste e la sua luminosità apparente osservata per ricavare l’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
Riferimenti
1. Vincenzo Zappalà – C’è distanza e distanza - pubblicato in “astronomia.com”.
2. Annibale D'Ercole – L’accelerazione dell’Universo.
3. Matteo Billi - Vincoli cosmologici da supernovae ad alto redshift – Sommario – pagina V.
4. Dino Bruniera – Ipotesi basate sulla teoria sul moto relativo allo spazio in espansione.
5. Dino Bruniera – Teoria sul moto relativo allo spazio in espansione.